L’Internet delle cose rappresenta ormai un aspetto strategico per le aziende. Attualmente il mercato è in fase di crescita e può ancora essere migliorato, i consumatori che utilizzano i dispositivi intelligenti sono in continuo aumento, per cui le aziende hanno più di un motivo per puntare ad una maggiore qualità dei prodotti, insieme alla loro sicurezza. E tutto questo per garantirsi un ottimo livello di competitività.
Oggi l’Iot sta incrementando l’efficienza produttiva industriale, permettendo di risparmiare tempo nel processo relativo agli ordini e di conseguenza di ridurre i costi, diminuendo il rischio di tutte quelle problematiche che generalmente rallentano le attività interne.
Ma esiste ancora il timore che la costante automazione dei processi porti alla necessità di “liberarsi” della presenza umana e che quindi milioni di posti di lavoro siano a rischio. Non è però questo il futuro che ci attende, vediamo perché.
Secondo un’analisi dell’agenzia McKinsey “Il 60% della totalità dei lavori è automatizzabile e per essi almeno il 30% delle funzioni. In tutto il mondo 1,2 miliardi di posti di lavoro sono sostituibili – in tutto o in parte – con le tecnologie oggi disponibili a livello commerciale, di cui 700 milioni in India e Cina. Il totale globale degli stipendi coinvolti è di 14,6 trilioni di dollari. Nei soli cinque Paesi europei esaminati – Francia, Germania, Italia, Spagna e UK – i posti full-time a rischio sono 54 milioni, pari a un monte stipendi di 1.700 miliardi.”
Queste classificazioni non comprendono però tecnologie già esistenti ma ancora in fase sperimentale, come le auto senza pilota o i droni per il trasporto umano.
In un simile contesto c’è comunque un lato positivo: la produttività nei Paesi industrializzati è potenzialmente in grado di crescere dallo 0,8 all’1,4% ogni anno, e non si tratta di una percentuale bassa.
Infatti, a differenza di quanto si possa pensare, le persone non sono assolutamente sostituibili, ma reintegrabili. E’ infatti implicita la creazione di nuovi posti di lavoro che possono nascere grazie all’automazione. Si tratta di occupazioni più qualificate e di conseguenza meglio pagate.
Ovviamente, all’inizio, sarà inevitabile una fase di assestamento, dopo la quale però le opportunità lavorative aumenteranno in modo esponenziale.
Sempre l’agenzia McKinsey afferma infatti che “nel 2065 si sarà raggiunto un numero di posti aggiuntivi fra gli 1,1 e i 2,3 miliardi. L’importante è che i governi si rendano conto della portata del cambiamento e collaborino con le aziende nella riprogrammazione del training dei lavoratori”.
Trattandosi di cambiamenti radicali, per le aziende saranno necessari alcuni anni per trasformarsi a tutti gli effetti in Smart factories, ma ciò non significa che si possa perdere tempo. Le innovazioni tecnologiche sono in continua evoluzione e l’automazione rappresenta di per sé una svolta fondamentale per la produttività.